Le invasioni Barbariche
Pubblicato in: Leonardo, anno I, fasc. 7, p. 8
Data: 29 marzo 1903
pag.8
Le invaaioni Barbariche non son mai più cessate in Italia dacchè la gloria di Roma non seppe più ricacciare ne loro covili silvestri i selvaggi del Nord. Oggi l'invasione, per aver assunta una forma più benigna e più produttiva, non è meno incresciosa a' nostri occhi latini. Orde anglosassoni, bande teutoniche, si rovesciano infaticabilmente, a ogni dolce primavera, sulle nostre città a turbarne la quiete sognante e la divina solitudine. Armati di lenti e di libri vermigli, colle facce ebeti e gravi, trascinando il loro cant e ciangottando le loro favelle non soavi, essi ronzano attorno alle belle cattedrali, si assiepano intorno a' Battisteri, riempiono musei, e inghiottono ogni giorno la loro porzione fissa di rovine e di quadri, di ricordi e di bellezza, meditando futuri ricordi d'Italia conditi di strafalcioni o romani italiani uso Humphry Ward e Hall Caine. E accanto agli scorridori frettolosi ci sono gli «studiosi» che prendon note per qualche titolo accademico, o gli «esteti» che vengono a risentire l'Italia attraverso Ruskin, e i «mistici» che leggono Bourget e San Peladan e gironzano pei chiostri cogli occhi sonnolenti e i capelli lunghi.
C'è, fra noi, una società per l'Industria dei Forestieri e l'idea di metterli a pari con i salsicciotti e le gomme per biciclette non mi dispiace: nonostante mi verrebbe la voglia di fondarne un'altra contro i Forestieri, a patto di farmi crocifiggere da tutti gli albergatori e da tutte le guide autorizzate.
Ci sarebbe l'obiezione che gli invasori portano del denaro ma forse la solitudine non vale trecento o quattrocento milioni all'anno? Del resto la miseria provocherebbe una emigrazione maggiore e non sarebbe male sbarazzarsi sempre più da queste turbe di contadini e d'operai che stanno quaggiù a morir di fame e a far le rivolte. Purgata da barbari stranieri e da' barbari indigeni l'Italia diverrebbe infinitamente più abitabile per gli uomini dello spirito: un'Isola di bellezza e di gloria in mezzo al fumoso tumulto del mondo mercante e livellante de' nostri giorni.
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